L’agognato benessere, così come si è configurato nella nostra cultura occidentale soprattutto dal secondo dopoguerra in poi, ha paradossalmente condotto ad un generale malessere.

La riflessione teologica ha qualcosa da dire riguardo a questo binomio, in modo che ne risulti un’idealità alternativa: quella del bene-essere. In questa prospettiva, ha bisogno di essere riformulato il rapporto fra povertà e ricchezza, per giungere a considerare l’una e l’altra non come condizioni estrinseche e inversamente proporzionali (i “poveri” e i “ricchi”, la “crescita” e la “decrescita”), ma come dimensioni coessenziali nella quale il riconoscimento del “limite” sia condizione interna ad una corretta e positiva “fruizione dei beni”.

La mutua coappartenenza di ricchezza e povertà (ovvero l’accettazione del limite all’interno del possesso e dell’uso) è sostenibile sulla base di un’antropologia del dono che tenga conto di dinamiche più profonde ed essenziali di quelle del produrre-consumare.

È dunque la dinamica del “dono” che va approfondita per coglierne le virtualità in ordine alle condizioni elementari di una economia non del “consumo”, bensì del “cum-sumere”, cioè della condivisione, che abbia considerazione anche dell’aspetto simbolico-estetico del produrre-consumare.

Giulio Meiattini

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