di Vincenzo Barberi

 

Dobbiamo ritornare alla normalità.

Questo il mantra di questa fase 2 della pandemia, il ritornello che tutti si sentono in dovere di ripetere. Dalle pubblicità in televisione ai politici di turno, dal collega in teleconferenza al cameriere al ristorante. Abbiamo bisogno di normalità, ci serve per sentirci vivi. Per sopravvivere alla routine di tutti i giorni.

In un mondo che cambia sempre più in fretta, come ci ha ricordato il COVID19, la normalità è la ciambella di salvataggio a cui ci aggrappiamo per smarcare un presente sempre più in salita, sempre più difficile.

Oggi è difficile, non è come una volta. Perché si stava bene!

O almeno così ci sembra, voglia di una normalità di come quando si stava meglio.

Questa voglia di normalità, a tutti i costi, ci acceca. Ci toglie la capacità di pensare in modo razionale. Quella caratteristica che dovrebbe essere tipica dei Sapiens, che forse così sapiens non è.

Tutto andrà bene! A breve ci sarà il vaccino, il virus si sta indebolendo, e poi ai giovani, quelli che producono, non fa danni, sono asintomatici.

Perchè vogliamo essere liberi di scegliere, di muoverci, di vederci, di consumare.

Perché dobbiamo consumare altrimenti le aziende chiudono, i disoccupati aumentano, le tasse si riducono e i servizi forniti dallo stato non possono essere più erogati. E le pensioni sarebbero a rischio.

Un casino.

Quindi dobbiamo consumare per riprenderci la vita che il virus ci vuole togliere.

Riprendiamoci quello che un essere, quasi vivente, che neanche riusciamo a vedere ed immaginare, ci sta togliendo.

Maledizione, noi siamo uomini!

Dobbiamo riprendere a consumare per produrre perché senza PIL non c’è speranza.

E quindi investimenti pubblici, miliardi di debiti perché dobbiamo ripartire.

Ma dobbiamo farlo in modo smart. Perché ormai è tutto smart. Le città, il lavoro, le persone.

Noi siamo Sapiens.

Dobbiamo trasformare la crisi in opportunità.

Siamo Sapiens.

Quindi ritorniamo alla normalità.

Anche se la normalità di ieri ci ha portato alla normalità di oggi che non ci piace.

Ad ospedali pieni.

A file di bare su camion.

Al lockdown con fabbriche chiuse, negozi chiusi, ristoranti e bar chiusi, hotel e discoteche chiuse, cinema e teatri chiusi.

Ma questa normalità non ci piace, torniamo alla normalità di prima.

Quella normalità fatta di CO2, di esaurimento delle materie prime, di riscaldamento globale, di desertificazione, di esaurimento dell’acqua dolce, dei suoli che scompaiono, degli eventi estremi come vento e pioggia che distruggono raccolti, case, infrastrutture.

Ritorniamo alla normalità.

Ma quale normalità per il nostro futuro? Per il sapiens di domani?

Una normalità che si deve riappropriare del concetto di limite.

Perché noi siamo sapiens e ci piace sfidare e abbattere i limiti, ma dobbiamo essere consapevoli che esistono e in alcuni casi sono oltre il nostro volere.

Immaginare un futuro in cui si convive con i limiti, che noi vediamo perché li abbiamo raggiunti e, a volte, li abbiamo superati creando scompensi che creano altri limiti ancora più stringenti.

Perché ogni volta che noi li superiamo stiamo creando altre barriere ai sapiens di domani.

Per non perdere l’opportunità di trasformare una minaccia in una grande opportunità.

Per creare una nuova normalità.

Che non sarà duratura, perché la normalità non esiste, è solo un sogno per sopravvivere.

Una normalità che si basa sulla sostenibilità.

Ma deve essere chiaro che la sostenibilità ha alla base il riconoscimento della esistenza dei limiti e, per sua natura, è distruttiva.

La sostenibilità richiede la distruzione di tutte le rendite di posizione. Di tutti. Perché il superfluo va eliminato. Perché l’innovazione tecnologica ha un valore se è distruttiva.

La sostenibilità attraverso l’innovazione di prodotti e processi determina una distruzione dei posti di lavoro. Lo smart working ce lo insegna. Lavorare da casa ci consente di perdere meno tempo in mobilità inutile e dannosa per l’ambiente e per le nostre tasche. Ma significa anche meno lavoro per tutti coloro che offrivano beni e servizi come trasporti, ristorazione. Lo smart working distrugge il lavoro di altri. Ma non possiamo impedire lo smart working e i suoi benefici per tenere in piedi economie che non creano valore reale.

Si possono fare infiniti esempi che vanno dal settore delle auto, alla editoria, al turismo, alle grandi infrastrutture.

Va quindi ripensato profondamente il concetto di lavoro che è uno dei fondamenti della nostra costituzione. E di occupazione. Perché il futuro è fatto di meno occupazione ma non di meno lavoro. Per essere più impegnati a fare cose utili a se stessi e alla collettività, anche se non retribuite. E questo impegno (che è lavoro) deve avere un riconoscimento sociale, deve esserci una nuova scala di valori nella società.

Va ripensato completamente il modello socio-economico e va governato per non creare troppe vittime. Anche perché queste, ad un certo punto, potrebbero decidere che non hanno voglia di essere vittime e potrebbero trasformarsi in carnefici.

Una crisi come quella del Coronavirus è una opportunità perché fa percepire a tutti che c’è un problema reale, che bisogna cambiare. E sappiamo che il cambiamento è sempre doloroso, crea malessere. Ma i Sapiens sanno adattarsi, è una questione di stimoli e prospettive.

È il momento giusto per disegnare una nuova normalità per non farci travolgere dalle trasformazioni che stanno avvenendo.

È chiaramente un percorso difficile perché tutti, ma proprio tutti, abbiamo le nostre rendite di posizione da difendere. E le difenderemo fino a quando non percepiremo che sono effimere e possono svanire in un lampo, come ci ha insegnato il Coronavirus.

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